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La crisi dei media di informazione tecnologica nel raccontare l’intelligenza artificiale 

Chiunque abbia oggi dai 45 anni in su ricorderà quel periodo cruciale nell’evoluzione della tecnologia informatica, quando gli home e personal computer iniziarono a entrare nelle case degli italiani. Erano gli anni in cui il futuro faceva capolino nelle famiglie, portando con sé software per il lavoro, programmi per la gestione dell’economia domestica e una vasta gamma di videogiochi. Tastiere, monitor e stampanti trovavano sempre maggiore spazio nei salotti e nelle camerette. Tuttavia, questa rivoluzione era spesso ignorata o fraintesa dai media tradizionali, che raramente si prendevano il tempo di comprendere davvero le potenzialità di tali nuove tecnologie, preferendo relegarle a curiosità marginali.

Gli home computer, sebbene già negli anni ’80 fossero dotati di una discreta quantità di RAM (in relazione all’epoca) e di sistemi operativi che includevano anche dei linguaggi di programmazione, venivano spesso considerati delle semplici macchine per videogiochi. Questa visione riduttiva tradiva una scarsa comprensione delle loro reali potenzialità. In realtà, questi computer rappresentavano il primo passo verso un cambiamento radicale, un preludio alla trasformazione del nostro modo di lavorare, comunicare e creare. Questo processo di cambiamento non avveniva solo attraverso il miglioramento delle capacità tecnologiche, ma anche attraverso la creazione di una cultura digitale che iniziava a diffondersi tra i giovani e gli appassionati.

Furono le riviste specializzate a farsi carico della responsabilità di alfabetizzare un’intera generazione. Bastava andare in edicola e acquistare riviste come Commodore Computer Club, Microcomputer, o altre, per entrare in contatto con una dimensione che stava già cambiando il mondo. In quelle pagine si trovavano articoli, tutorial e codici da copiare a mano, veri e propri ponti per comprendere l’universo dei computer. Quelle riviste non si limitavano a parlare ai tecnici; avevano la missione di educare, di portare conoscenza nelle mani di chi era curioso e di trasformare quella curiosità in competenza. Grazie a questi media, molti ragazzi impararono a programmare, a comprendere i primi rudimenti dell’informatica e a vedere nel computer non solo un oggetto di consumo, ma uno strumento di creatività e crescita personale. La diffusione di queste competenze creò la base per l’adozione massiccia delle tecnologie digitali che avrebbe caratterizzato gli anni successivi.

La rivoluzione attuale: l’intelligenza artificiale generativa

Oggi ci troviamo di fronte a una nuova rivoluzione tecnologica: quella dell’intelligenza artificiale generativa. Come allora, c’è un potenziale enorme che bussa alle nostre porte, pronto a trasformare profondamente il modo in cui viviamo, lavoriamo e pensiamo. Tuttavia, come accadde per gli home computer, anche questa rivoluzione è spesso fraintesa e banalizzata. I media moderni, anche quelli specializzati che dovrebbero fungere da ponte tra l’innovazione e il pubblico, sembrano aver perso la loro missione originaria. Invece di prendere il tempo necessario per spiegare e analizzare l’impatto dell’intelligenza artificiale, spesso si limitano a diffondere opinioni distorte, alimentando pregiudizi e confusione.

Invece di informare con rigore, di spiegare le possibilità e le sfide dell’intelligenza artificiale generativa, assistiamo spesso alla diffusione di disinformazione, alimentata da titoli clickbait e paure infondate. Titoli allarmistici dipingono l’AI come una minaccia alla nostra esistenza o come un nemico da cui difendersi. Questa narrativa nasce da superficialità e dall’ansia di mantenere alta l’audience, piuttosto che dalla volontà di informare. In questo contesto, le opinioni pubbliche si formano non sulla base di una reale comprensione delle opportunità e dei rischi, ma piuttosto su una serie di miti e paure irrazionali che vengono continuamente alimentate.

Il ruolo dei media: ieri e oggi

Le testate giornalistiche tecnologiche, che negli anni ’80 e ’90 avevano la missione di educare e diffondere conoscenza, oggi spesso si limitano a ripetere notizie sensazionalistiche, tradendo lo spirito che le aveva rese tanto preziose in passato. Non c’è più spazio per articoli che spiegano, che accompagnano il lettore a comprendere i meccanismi dell’intelligenza artificiale o che illustrano il potenziale di questa tecnologia per migliorare la società. Non si presta più attenzione a creare quella connessione tra lettore e tecnologia che, trent’anni fa, fece la differenza per una generazione. Ciò che manca è un approccio volto all’educazione, che possa riportare l’intelligenza artificiale alla sua dimensione umana, come strumento al servizio delle persone, e non come una minaccia distaccata e incomprensibile.

Così, mentre l’intelligenza artificiale generativa continua a svilupparsi, portando nuove possibilità creative, strumenti utili e orizzonti inesplorati, rimane troppo spesso vittima di una comunicazione superficiale, che preferisce la paura alla curiosità. Le promesse dell’AI vengono banalizzate o dipinte come minacce oscure, mentre il pubblico viene lasciato senza strumenti per comprendere davvero cosa stia accadendo. C’è bisogno di una nuova alfabetizzazione tecnologica, di un ritorno a quel tipo di giornalismo che sa educare e stimolare, che sa guardare al futuro senza timore di perdere un clic. Abbiamo bisogno di giornalisti che si pongano come facilitatori della comprensione, che siano in grado di prendere una tecnologia apparentemente complessa e di renderla accessibile, spiegando non solo come funziona, ma anche cosa può significare per la nostra vita quotidiana, per il nostro lavoro e per la nostra società.

Un cambiamento culturale, non solo tecnologico

La storia degli home computer ci insegna che il vero cambiamento non è mai solo tecnologico, ma anche culturale. È fatto di persone che scelgono di imparare, di esplorare e di trasformare il loro rapporto con il mondo. È un cambiamento che coinvolge l’educazione, la creatività e la volontà di superare le barriere dell’ignoranza. Perché questo accada di nuovo con l’intelligenza artificiale, abbiamo bisogno di media che sappiano guardare oltre la tentazione del titolo allarmistico, e che tornino a essere strumenti di conoscenza, piuttosto che di paura. Solo così possiamo sperare di costruire una società che non solo accetta, ma che abbraccia il cambiamento, utilizzando l’intelligenza artificiale per risolvere problemi reali e migliorare la qualità della vita di tutti.

Se i media tornassero a prendersi la responsabilità di educare, di raccontare il progresso tecnologico con onestà e profondità, potremmo assistere a una nuova epoca di entusiasmo e di innovazione condivisa. Un’epoca in cui la curiosità vince sulla paura, e in cui le potenzialità dell’intelligenza artificiale diventano patrimonio di tutti, anziché motivo di divisione e timore. È il momento di tornare a vedere la tecnologia come un’opportunità, come una sfida da affrontare con spirito critico e costruttivo, e di far sì che anche l’intelligenza artificiale possa diventare, come gli home computer negli anni ’80, un alleato prezioso per la crescita individuale e collettiva.